lunedì 1 aprile 2024

Brevi annotazioni (del tutto irregolari) su Dante e le origini del Sacro - aggiornato

                      


  

Proprio ora converge sul significato deteriore dei tempi anche la segreta determinazione dell’uomo.

La determinazione è una peculiare forma di passione serena, la cui intuizione è accesa in ogni animo cosciente della propria condizione dormiente.

È un fulgore che sovrasta infinitamente la stessa radianza delle stelle e la cui segreta vitalità sedimenta nelle narrazioni epiche dell’antichità.

Sede primaria del mistero universale è il cuore dell’uomo: Vaso d’Elezione.

 

In noi la “passione” perimetra la restrizione atavica degradata in desiderio solo sensuale, in anelito incostante e mutevole, in brama ottenebrante. Ma la “passione” è anche “fiamma emblematica”, che se sappiamo regolare interiormente trasmuta il sigillo di dolore e meraviglia da cui è ricavata l’impronta conoscitiva della realtà umana.


È il più antico motivo dell’eschilea pathei mathos:

“A Zeus che ha avviato i mortali

a essere saggi, che ha posto come valida legge

“saggezza attraverso la sofferenza”.


(Agamennone: scena del Coro nell'inno a Zeus)


 

Ottenere sovramorevole senso delle proprie passioni per noi significa trascendere i vincoli stabiliti dall’infinito intrappolamento percettivo.

 

Per correr miglior acqua alza le vele

ormai la navicella del mio ingegno,

che lascia dietro a sè mar si crudele.

 

E canterò di quel secondo regno,

dove l’umano spirito si purga,

e di salire al ciel diventa degno.

 

(Purgatorio)

 

 

 

In tal senso, molto brevemente si accenna, senza voler fare esercizio di retorica, alla Commedia di Dante che riferisce dell’attraversamento della Selva oscura, simbolo di abissali smarrimenti e molteplici afflizioni i cui esiti ultimi convergono nella realizzazione (propriamente iniziatica) di una gioia arcana.

 

Dante afferma non esservi altro fondamento nel mondo se non la questione morale, che specificamente intende come Vir, (suprema ispirazione) per la quale la politica e il sociale possono solo costituire degli eventi a lei succedanei e che se ne fossero privi diverrebbero solo i pretesti di ulteriori sviamenti di senso.


                 

 

Nel Poema la Grazia, che è personificata da Lucia, (il cui nome è attinente alla luminosità emblematica) accoglie nella propria comprensione/radianza ravvolta in sé, come dentro un grembo iridescente, in cui si compie la gestazione dell’animo iniziato al Vero Poetico e che giunto al termine dell’incubazione metaforica (ri)nasce alla luce di una recondita immaterialità.

 

La Mirabile Visione è inesprimibile, dichiarata dal Poeta come un evento inspiegabile.

L’ascensione ad opera della Grazia tenacemente congiunta alla Volontà, (volontà propriamente ermetica) il cui fondamento ieratico è stabilito nella figura di Virgilio.

La finzione poetica è accesa nell’incipiente oscurità, come un lampo lumeggiante la Bella Veste della Verità ammanta la più alta Consapevolezza di sé.

 

Dante scortato da Virgilio avvisa che l’unica potenza rivelativa è infusa dalla dimensione etico/poetica sostenuta, elevata mediante il rigore della rappresentazione allegorica.

 

Nella Commedia compaiono prepotentemente i numeri che emergono in chiave simbolica, carichi di un profondo messaggio iniziatico, poiché nel numero (gravido di valore) sussiste il fondamento del Creato e Creato equivale a Labirinto Conoscitivo e Dante fu attento conoscitore del simbolismo numerico.


Perciò Dante espone dei paralleli con tradizioni come il pitagorismo, che fondò la sua sapienza sulla proporzione dei numeri, che considerava il fondamento matematico del tutto; ma questo Tutto è Illusione Concreta: una Stupefacente Trappola Demiurgica pervasa da un irriducibile principio di Estatica Voracità.

 

Non può esservi nelle nostre ultime considerazioni ancora una retorica del bello scrivere.

 

La rappresentazione prospettica del Poema Dantesco è tutta costruita per evidenziare la sublimità del terribile Mistero d’Amore, connaturato alla natura divina, ma diviene retorico per noi la sua ripetizione poiché le rigorose ragioni delle perfette misure riscontrabili nelle terzine del Poema non possono più bastare ad appagare la nostra comprensione dell’infinito cangiante in cui, attimo dopo attimo, ci inoltriamo e non possiamo ritenere che questo straordinario procedere possa equivalere ad un eterno girare in tondo come invece ogni rigorosa simmetria compositiva ci dimostra.

 

 

Immagine paradigmatica dell’assoluta perfezione insita nel Divino Intrappolamento





Proporzione e numero è l’ordine retorico del Cosmo: la “Divina Proporzione” altro non riferisce se non del multiforme e Straordinario Inganno sensoriale/conoscitivo.

 

Nessuna retorica accademica in questo mio marginalissimo e brevissimo commento a Dante.

 

Basterà solo accennare che gli esempi della superbia punita servono a Dante per mostrare che il cristiano deve rimanere subordinato al Dio che l’ha creato per un fine inesplicabile.


Commento: 

Un Dio mi ha forgiato in questa fonda contraddizione, (il grave e stupefacente Gioco Cosmico è Gioco al massacro della vita) in cui io mi riconosco come Straordinaria e Penosa Allucinazione a me stesso, vorticante dentro altre multiple Allucinazioni Frattali Energivore...non certo per amore sono stato immerso dentro un falso me stesso (Illusione Concreta precariamente sospesa sopra un inconcepibile Vuoto Preesistente).

  

Dante riteneva che non avrebbe potuto scrivere la Commedia senza l’aiuto divino, pertanto, oltre alle Muse non manca d’invocare con esercizio di sublime retorica poetica Apollo stesso, (nel primo canto del Paradiso) l’impietoso e amorevole scorticatore di Marsia (così in Ovidio Metam. VI 382-400).


O valente Apollo, per la mia ultima fatica fammi un vaso pieno di valore poetico tanto grande quanto domandi per concedere l’alloro da te amato.

(Paradiso, canto I)


Il tema dell’inaudita interferenza riferita anche da Plutarco (Opuscoli; tomo III)

Apollo rivela e apre i suoi pensieri, ma li rivela mescolandosi con un corpo mortale e un’anima umana, che non riesce a mantenere la calma e a manifestare ogni cosa in modo impassibile senza mutamento. 

Essa piuttosto ondeggia come una nave nel mare tempestoso ed è trascinata dal suo intimo sconvolto.

 

 

 


In origine la parola ieròs significò ciò che è guizzante e sussultante, divenendo poi epiteto di sacro, proprio per il fatto che le vittime rituali, offerte al piacere di Dio, si dibattevano quand’erano scannate al momento del solenne sacrificio.

Il sacro, originariamente associato all’agonia della creatura immolata alla mutevole Entità definita Dio, è il nucleo della prodigiosa falsificazione.

 

Ieròs vale “forte”, “vigoroso”, e per estensione, “divino”, “sacro”, ma per ottenere un elevata cognizione del valore sacro, in cosa consista il suo alto e terribile mistero, occorre vagliare con intelletto propriamente sano l’inaudita interferenza che da tempo immemore s’interpone tra la nostra aspirazione di Salvezza e la tenacia demiurgica del Dio, che compisce ad ogni istante lo straordinario inganno/incantesimo ancestrale entro il quale siamo coinvolti e che determinò l’apparizione stessa di Adamo; il quale, in un certo senso, fu plasmato dentro una matrice contraffatta, entro la quale aprì gli occhi stupefatti abbagliato dal prodigio della sua propria percezione.


Il sacro è una dimensione congiunta al significato di una straordinaria interferenza, a costituirne, in un certo senso, l’occasione magico-ideativa per la quale è attuata la misterica trasmutazione connessa alla deviazione stessa dell’energia vitale; appositamente imbrigliata dalla Liturgia per essere trasferita alle multiformi Entità di riferimento.


La Sapiente Finzione Mistica - inganno ricercato - riveste l’Assurdo Veritiero della nostra prima ideazione.



Il richiamo al Veltro presente nella Commedia, costituisce il richiamo al metaforico principio eroico-solare.


Eroe è parola contenente in sé l’Estros-Eros, in essa è insito il senso del Furor che è proprio di ogni animo avviato lungo un difficoltoso percorso di penosa redenzione poetica: intesa essere come la sola e autentica indipendenza che l’uomo possa veridicamente anticipare nella presente dimensione.

(Anticipazione di una qualità maggiormente pura dell’essere e, dunque, è poesia integrale, qui intesa come massima espressione della Vir e costituente con essa una inscindibile unità).


In Dante il mito dell’antichità eroica muore ed è completamente annullato di significato al cospetto della sovranità di Dio.

 

La Vir in Dante equivale alla ieratica fiamma sapienziale; ma essa è anche sapiente menzogna che riveste l’assurdo veritiero: il dogma non può convivere col Vero, ma una tale contraddizione qui diviene esemplare espressione dell’ingegno poetico. 


 

A ogni modo, l’unica potenza rivelativa pervade la dimensione etico/poetica, essa è il solo luogo idoneo a valorizzare quanto di più umano (sovrumano) vive nell’uomo; la sua fondamentale astrazione coerente dirada le caligini speculative addensate sull’intelletto



L’amor che move il sole e l’altre stelle chiude l’ultimo canto del Paradiso.

Il Vorace Amor divora la propria stessa radianza e l’uomo è fatalmente immerso in questo Delirante Desiderio Infinito chiamato Universo.


L’uomo consapevole del proprio sogno diviene tragicamente Straniero a sé medesimo, il suo ultimo ed estremo compito, propriamente Sovrumano, è quello di sottrarsi da questo luogo governato da una Implacabile Armonia e definito come Regno di Dio.